Malattie infiammatorie croniche intestinali non infettive (malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa)

Le  malattie infiammatorie intestinali, la cui causa è tuttora sconosciuta nonostante i numerosi studi in corso da anni, sono più diffuse nei paesi anglosassoni e nordici in generale dove sono molto meno presenti le infiammazioni intestinali dovute ad agenti infettivi quali bacilli della dissenteria o amebe più presenti nell’area mediterranea, ma anche in Italia , paese ormai pienamente assimilabile all’area occidentale industrializzata, hanno una frequenza notevole. I sintomi più frequenti delle malattie infiammatorie intestinali in generale sono dati da scariche diarroiche frequenti, spesso accompagnate da muco e sangue, coliche addominali e sintomi sistemici quali perdita di peso, anoressia e anemia. La severità dei sintomi è in relazione alla severità della malattia. Una volta escluse cause infettive (di solito bacilli della shigella e della salmonella , ameba e schistomiasi) attraverso vari test (anamnesi, coprocultura, esami sierologici), e altre cause quali enteriti e proctiti da terapia radiante, coliti ischemiche, abuso di lassativi e antibiotici, l’attenzione deve essere rivolta verso la m. di Crohn o la RCU. La diagnosi va confermata attraverso l’anamnesi, ricordiamo al proposito che una storia familiare positiva si ha circa nel 10% dei pazienti con m. di Crohn eo RCU, la colonscopia con i relativi prelievi bioptici, le indagini radiografiche fra le quali assumono una importanza straordinaria, oltre al clima del colon, il clisma del tenue che consente lo studio del piccolo intestino. Attualmente questa ultima indagine è affiancata dalla TC , meno invasiva. Le due malattie hanno la caratteristica di essere simili e diverse nello stesso tempo , perché tanti sono gli aspetti che le differenziano. Tra questi i principali sono rappresentati innanzitutto dal fatto che la m. di Crohn può interessare tutto l’intestino dalla bocca all’ano, con frequenze ovviamente molto diverse, mentre la RCU interessa solo il colon ed il retto; che nella prima le lesioni infiammatorie interessano l’intestino a salti, con tratti malati intervallati da tratti sani mentre la RCU si estende in maniera continua verso l’alto a partire dal retto; l’infiammazione nel Crohn può interessare la parete intestinale a tutto spessore, mentre nella RCU è confinata alla mucosa; il retto può essere risparmiato dalla malattia nel Crohn, mentre per definizione è sempre coinvolto dalla malattia nella RCU; l’interessamento anale e perianale ( fistole, ragadi etc) è molto più frequente nella m. di Crohn; in entrambe le malattie, ma soprattutto nella m. di Crohn, possono essere presenti manifestazioni extraintestinali quali poliartropatie, spondiliti, epatite cronica, cirrosi, colangite sclerosante, calcoli della colecisti , pioderma gangrenoso, eritema nodoso, uveiti, episcleriti etc. Altre differenze fondamentali e dirimenti dal punto di vista della diagnosi differenziale si osservano dal punto di vista radiologico e ovviamente istologico, ma bisogna osservare che non sempre gli spetti dell’una o dell’altra malattia sono nettamente distinti. Una volta fatta diagnosi di m.di Crohn o di RCU , va determinata la severità della malattia allo scopo di selezionare il trattamento appropriato. La severità viene individuata dalla analisi dei seguenti parametri: estensione della infiammazione, severità dei sintomi, stato di nutrizione del paziente, presenza di manifestazioni extra intestinali della malattia, anemia , disordini elettrolitici, stato tossico, poca trattabilità e distensione addominale , fistole e ascessi anali. La estensione della infiammazione è determinata dalla endoscopia e dalla radiologia, i sintomi riguardano la frequenza delle defecazioni, l’urgenza defecatoria, perdite di sangue dall’ano e dolore addominale, nonché quelli che indicano disturbi sistemici quali anoressia, perdita di peso, astenia e altri segni di anemizzazione e di malnutrizione. La presenza di sintomi extraintestinali indica una maggiore severità della malattia. Rettocolite ulcerosa e m.0 di Crohn hanno una naturale tendenza alle esacerbazioni e alle remissioni. La frequenza e la severità delle recidive e il grado di disabilità nei pazienti con malattia cronica è quindi un fattore importante nella stadiazione della gravità delle malattie. La severità può essere classificata in lieve, moderata o severa. I pazienti con malattia lieve o moderata possono essere trattati abitualmente con terapia medica domiciliare. Quelli con malattia severa , soprattutto nei casi di esacerbazione acuta, possono richiedere frequenti ricoveri in ospedale e nei casi più gravi necessitano di interventi chirurgici. Le cure mediche richiedono l’utilizzo di farmaci anti infiammatori quali la mesalazina nelle sue molteplici varianti farmacologiche e formulazioni ( compresse, clismi , gel) che servono soprattutto a mantenere ed allungare i periodi di remissione; il cortisone, i più recenti betametasone e la budesonide, più maneggevoli, ed il classico metilprednisolone, nelle fasi acute e nei casi più severi, anche questi in varie formulazioni , compresse, fiale per via parenterale, clismi, schiume , supposte. Nei casi più ostinati, che non rispondono al cortisone o che al contrario di esso non possono fare a meno, si ricorre a farmaci alternativi immunosoppressivi quali azotioprina, mercaptopurina, ciclosporina etc che spesso hanno una buona risposta ma richiedono una attenta e continua sorveglianza del paziente, e che pure essi nel tempo prolungato possono portare a pesanti complicanze come l’insorgenza di linfomi maligni. Negli ultimi anni grandi progressi si sono fatti con l’utilizzo di farmaci biologici anti TNF alfa ( remicade , adalimumab) che vanno a bloccare la cascata della risposta infiammatoria : le buone risposte dei pazienti, sia nella RCU che nel Crohn, fanno sperare per il futuro un maggiore controllo della malattia anche nei casi più severi ed una riduzione dei casi che hanno bisogno dell’intervento chirurgico. La chirurgia occupa tuttavia tuttora un posto importante nel trattamento delle MICI, sia nel Crohn che nella rettocolite ulcerosa. Fra le due malattie, come già accennato, se molti sono i punti di contatto e gli aspetti simili, altrettanto numerose sono le diversità e, anche e soprattutto per il trattamento chirurgico, emerge una profonda differenza che condiziona in maniera fondamentale la condotta dello specialista a seconda che si trovi di fronte all’una o all’altra patologia. Mentre infatti nella RCU la chirurgia può essere determinante per guarire la malattia in maniera definitiva, a patto che l’intervento sia radicale con una ampia e completa exeresi di tutto il colon e del retto ( proctocolectomia totale) nel caso della malattia di Crohn l’atteggiamento del chirurgo deve essere diametralmente opposto, in quanto l’obiettivo è quello di resecare solo il necessario ed in ogni caso risparmiare quanto più possibile di intestino. Il diverso atteggiamento chirurgico scaturisce ovviamente dalle differenti caratteristiche delle due malattie: solo interessamento del colonretto con limite alla valvola ileocecale per la RCU, coinvolgimento di tutto l’intestino dalla bocca all’ano e frequenti recidive della malattia di Crohn. Punto fondamentale dell’intervento è la corretta scelta del tempo dell’intervento. Per tutte e due le malattie esiste infatti il tempo della elezione e quello della emergenza/urgenza. In elezione la decisione è forse paradossalmente più difficile da prendersi ma può essere meditata con più calma e ponderazione. Nel caso della RCU quali saranno infatti i candidati all’intervento in elezione? Innanzitutto è chiaro che parliamo delle forme più severe di malattia, con intensità e varietà di manifestazioni cliniche più accentuate, scadimento delle condizioni generali del paziente, riesacerbazioni frequenti e/o ravvicinate, inefficacia totale o parziale delle varie terapie mediche, dal cortisone agli immunosoppressori, o impossibilità di sospendere forti dosaggi di cortisone. Talvolta ci aiutano a prendere una risoluzione chirurgica le indagini diagnostiche: è chiaro che in presenza di un colon o di un retto stravolto nella sua anatomia con processi infiammatori e cicatriziali diffusi , estesi e profondi con viscere retratto, stenotico, la decisione chirurgica è quali obbligata; non altrimenti si può dire nei casi con sintomatologia severa ma nei quali il coinvolgimento flogistico è meno esteso e/o ha prodotto danni minori: qui la decisione chirurgica sarà più difficile e sarà guidata principalmente dalla mancata risposta alla terapia medica e dalla scadente qualità di vita del paziente. Non ultimo aspetto e forse il più importante nel dettare l’indicazione alla chirurgia in elezione è la potenzialità della RCU alla evoluzione neoplastica maligna. Questa come sappiamo aumenta in maniera esponenziale dopo 10 anni di malattia e non è semplice da monitorare perché insorge come displasia a volte in maniera policentrica in un tessuto spesso profondamente alterato e rimaneggiato dalla malattia nella sua struttura anatomica.

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